Paolo Cavinato, Anne Skole Overgaard, Franco Piavoli
A cura di Manuela Zanelli
19 maggio – 30 giugno
inaugurazione: sabato 19 maggio
Villa Parco delle Bertone – Strada Bertone Colarina – Goito (MN)
Orari: sabato 15:30 – 19:00 / domenica 10:00 – 19:99
Studiottantuno Contemporary Art Projects con Patrocinio e collaborazione Parco Regionale del Mincio e collaborazione Associazione Amici di Palazzo Te e Musei Mantovani
La mostra d’arte contemporanea proposta negli interni della Villa del Parco delle Bertone intende richiamarsi alla storia del luogo, che è passato nei secoli dalla presenza dell’originaria foresta planiziale con la sua spontanea e fitta vegetazione, all’addomesticamento della natura con la costruzione delle case coloniche e le loro coltivazioni agricole, fino alla costruzione della dimora nobiliare, con il passaggio dal bosco al giardino romantico voluto dai proprietari conti D’Arco nell’800. Proprio questo percorso nel tempo del contesto paesaggistico ha ispirato il titolo della mostra “Natura ad artem”. Paolo Cavinato, Anne Skole Overgaard e Franco Piavoli, ci riportano infatti con evocazioni e rimandi mentali ai tempi in cui il sito della dimora stessa era foresta, interpretando dunque il luogo primariamente come luogo della natura e delle sue trasformazioni e stabilendo una sorta di virtuale e immaginaria continuità tra gli esterni e gli interni. Le stanze per questo accolgono opere che sia con il lavoro site-specific pensato da Paolo Cavinato, sia con l’installazione di Anne Skole e l’esposizione delle opere-erbario di Franco Piavoli sono inserite in modo quasi necessario nell’intenzionalità emergente di riferirsi alla natura non solo come centralità tematica, perché cifra connotativa del posto, ma anche di rileggerla concettualmente riferendosi ai suoi principi costitutivi. Proprio sul richiamo di questi ultimi, si costruisce così una sorta di ideale percorso di circolarità simbolica: origine, crescita e morte-rinascita cui le opere nella loro intrinseca struttura di tecnica, di linguaggio, di progetto artistico alludono, aprendo diversi livelli di significato in più percorsi di possibile lettura in cui giocano fattori di memoria, evocazione e riferimenti colti. L’artista danese Anne Skole ci coinvolge con una tecnica tradizionale dei paesi nordici. Le sue incisioni xilografiche di rami e tronchi d’albero con stampe in positivo su leggere carte scendono dal soffitto a coprire le pareti di una delle prime due sale, alludendo alla presenza della foresta di un tempo in luogo della dimora, mentre nella seconda sala, come a specchio della prima, espone le stesse matrici al nero incise su legno. Ci sembra di poter dire che dall’idea di matrice si possa trarre il concetto di origine, di nascita riferibile alla natura stessa anche come inizio di quell’ideale percorso mentale, sotterraneamente allusivo, che va oltre all’idea della foresta storica cui si riferisce. A prevalere nel suo lavoro è soprattutto una dimensione temporale nel passaggio dalla matrice alle varie fasi delle sue stampe multiple fino a quelle al chiaro che ci presenta. Paolo Cavinato invece, artista mantovano attivo anche all’estero, costruisce tridimensionalmente a terra una sorta di “giardino” di forme astratte, seguendo la sua poetica legata al rigore della geometria dello spazio, questa volta applicata alla geometria dei frattali. L’elemento naturale viene richiamato nel concetto di crescita, nella “germinazione” di forme che da un semplice modulo si ripetono e si collegano, aggregandosi secondo un ipotetico ordine ma non di univoca percezione. I volumi astratti, espandendosi fino quasi a coprire a tappeto il pavimento dello spazio espositivo pongono, giocando sulla dimensione spaziale, l’accento sull’idea di sviluppo della natura nel riferimento traslato alla foresta, intesa come luogo dell’indistinto verso la separazione, l’individuazione di parti e di un ordine delle stesse. L’altra opera “Germoglio”, una leggera e quasi grafica scultura del vuoto di ascendenza costruttivista, allude sempre al principio di una geometria della natura ma forse anche ad un sotteso ordine cosmico regolatore, come altra faccia della medaglia del caos iniziale primigenio e insieme ci riporta all’idea di trasformazione alchemica. Se all’emergere dalla materia nera informe come terra sembra simbolicamente alludere il bianco delle strutture-oggetto, all’elemento acqua si riferisce la scura superficie dello specchio, simbolo di un profondo indistinto contraltare al razionale della forma che vi si specchia, ma soprattutto topos dell’elemento di vita e dunque di nuovo di un principio generatore. In un’altra tappa di un un altro “viaggio”, quello nella storia del luogo, l’opera nel suo complesso rappresenterebbe l’ideale giardino contrapposto al bosco. Franco Piavoli, noto regista cinematografico, espone una parte del suo erbario “artistico” in cui curiosità scientifica e creazione estetica si legano in un efficace connubio. Elementi minori della vegetazione come piccoli rami e foglie di erbe essiccate e con molta cura conservate intatte dalle radici alle piccole chiome, sottratte al ciclo naturale e bloccate nel tempo, sembrano esprimere il principio di una fine stessa della natura. Esse diventano l’emblema di una trasmutazione nella loro essenza, di una rigenerazione superiore che è poi alla fine quella dell’arte stessa, quella che conferisce loro il gesto fondamentale dell’artista che le preleva, le sposta anche da un ideale contesto scientifico, le indica e mettendole in cornice le assume nella dimensione estetica, le fa diventare ideali “nature morte” fissate nel tempo “assoluto” dell’arte. Nel loro aspetto quasi grafico-pittorico richiamano in modo scarno e minimale il mondo della vegetazione circostante nella parte meno spettacolare ma altrettanto significativa di tale contesto. Con esse si fa anche un passo allusivo nella storia, richiamando l’interesse del grande naturalista quale fu il padrone di casa Carlo D’Arco, con i suoi studi scientifici sulla natura e gli interventi concreti. Oltre infatti alla piantagione nel suo giardino di rare specie arboree secolari, realizzò un prezioso erbario custodito nel palazzo di città. La proiezione infine del cortometraggio “Là dove scorre il Mincio”, realizzato da Franco e Mario Piavoli, sembra concludere l’idea fondante dell’operazione, ricontestualizzando il sito stesso del Parco, riportandoci all’ambiente naturale del territorio nel tempo, sia con il commento di fondo musicale che con la citazione colta delle declamazioni di brani poetici tratti dalle Bucoliche e dalle Georgiche di Virgilio a contrappunto delle immagini filmiche. Quella sorta di indagine sulla natura con le riprese ravvicinate che ne rivelano i particolari fino agli insiemi paesaggistici, secondo gli stilemi della cinematografia ambientale dei due autori, concludendo idealmente il percorso mentale di “natura ad artem”, ci offrono un efficace e compiuto esempio di come l’arte possa interpretare il mondo naturale e proporcelo in chiave di evocativo racconto non meramente documentaristico, in cui domina la rivisitazione poetica e un attraversamento filmico contemplativo e colto dei luoghi.
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