Souvenir de Voyage
Mostra personale di Spazio Visivo
Paolo Cavinato - Stefano Trevisi
8 Stettembre – 17 Novembre 2012
Galerie Mario Mazzoli
Potsdamerstr. 132, 10783 Berlino
T/F: 0049-(0)30-75459560
Cell: 0049- (0)176-61686491
La Galerie Mario Mazzoli è lieta di presentare la mostra Souvenir de Voyage del duo Spazio Visivo.
Gli oggetti realizzati da Paolo Cavinato e i paesaggi sonori di Stefano Trevisi possono essere intesi come una moderna interpretazione del diorama, ovvero quelle riproduzioni sorprendentemente precise di mondi in miniatura, che dal primo Ottocento si trovavano principalmente nei musei, e dove mostravano scene a sfondo storico: la Parigi del Medioevo, i campi di battaglia di Napoleone, l'uccisione di Lincoln. Scene dunque che ci dovrebbero intrattenere e allo stesso tempo educare. I lavori di Spazio Visivo peró sembrano rimandare a qualcosa di diverso, a qualcosa che ci è piú vicino. Un qualcosa che é sempre rischioso da esplorare.
Ci avviciniamo alle opere di Spazio Visivo forti della certezza che i loro mondi siano alla mercé dei nostri sguardi osservatori.
Nei loro lavori a forma di scatole, Cavinato e Trevisi sembrano catturare qualcosa, sottolineando in primo luogo l’oggettualitá delle opere e in secondo luogo la separazione tra l’osservatore e ciò che accade all’interno di esse — come se fossero solo puro materiale da osservare. Osiamo avvicinarci ai lavori perchè crediamo di poter scoprire qualcosa senza peró essere scoperti. Ed è proprio questo il momento centrale nei loro lavori: quello in cui ci rendiamo conto che in realtà i ruoli si sono scambiati. Tutte quelle scene, verso le quali abbiamo osato avvicinarci, ci sono stranamente familiari, come l’arredamento quasi quotidiano della stanza in Souvenir de Voyage, un’opera che si ispira al quadro dell’omonima serie di René Magritte. Come Magritte, anche Cavinato e Trevisi lavorano sui momenti di uno straniamento onirico. Tuttavia, nonostante l’irrealtá della rappresentazione, le scene e le composizioni sonore rimandano ad una dimensione del qui e dell’ora.
Realizziamo intuitivamente che il nostro sguardo non cade su niente di lontano o di sconosciuto. Spesso le opere sembrano voler raccontare una storia e catturare un momento, nel quale appare qualcosa, come rimasto sospeso nell’aria. Ed è a questo punto che le immagini sonore di Stefano Trevisi conferiscono enfasi all’opera, plasmandola come un luogo dell’accadere. I lavori ci permettono quindi di afferrare storie appena accennate e non ancora definite. Il rischio, lo intuiamo, consiste nello scoprire troppo nelle stanze segrete di Spazio Visivo. Fino a quanto dunque vogliamo che questo mondo ci si avvicini? Quanto a fondo vogliamo indagare le scene e ricercarne l’essenza? E procedendo in questo modo ogni sguardo incuriosito nei lavori di Spazio Visivo è di fatto principalmente un gioco con le nostre aspettative, una sfida con noi stessi.
Se noi consideriamo il diorama come una forma materializzata del ricordo, possiamo trovare in questi lavori un eco di esso, sebbene solo a livello personale. Come i ricordi personali infatti i lavori di Spazio Visivo sono sempre simili ad indovinelli e soluzioni, sempre una sorta di custodia protettiva di qualcosa e il suo occultamento, perennemente in bilico tra il reale e l´impossibile. E noi ci poniamo di fronte ai loro mondi come di fronte ad un ricordo sommerso, verso il quale non possiamo mai essere sicuri di poterlo o volerlo sviscerare nella sua completezza. La narrazione é sempre chiara in un diorama, ma nessuno dei lavori di Cavinato e Trevisi lo è.
In Threshold e Into the Object #1- Table l’idea del diorama viene spinta verso la sua dissoluzione: gli spazi delimitati dalle opere infatti non sono piú separati da noi. Qui l’arredamento composto da sedie e dal tavolo non è più da interpretare come una versione distante di una miniature come in Souvenir de Voyage, bensí come una parte dello spazio in cui anche noi ci muoviamo. Seguendo questa interpretazione, il fatto di calpestare fisicamente il lavoro Threshold costituisce un momento di grande suspense all’interno della mostra: la struttura del lavoro ci permette in maniera simbolica ma anche brutalmente reale un accesso diretto. Il fatto che all’interno noi incontriamo sempre noi stessi e subito dopo ci perdiamo di vista, non è una coincidenza.
Al contrario, è qui che troviamo la conclusione più logica di una mostra che continuamente ci sfida anche a rintracciare nelle sue opere le complesse architetture della nostra memoria e la chiave per poterla interpretare.
Manuel Wischnewski
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