Interviste

 

 

 

Parola d'Artista - Intervista a Paolo Cavinato

Parola d'Artista è una pagina Facebook nata nel luglio del 2019 dalla curiosità di Gabriele Landi nel confronto del lavoro di alcune colleghe e colleghi. Attraverso interviste, testi ed altri contenuti, tutti inediti e scritti apposta per questa pagina, gli artisti raccontano il loro lavoro sotto vari aspetti. 

Gabriele Landi ideatore ed unico amministratore di Parola d'artista 

#paroladartista

  

16 Aprile 2021

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Gabriele Landi: Ciao Paolo, nel tuo lavoro che importanza ha la geometria?

Paolo Cavinato: Non so perché ci sono finito nel bel mezzo..

Fino a qualche anno fa ero concentrato sulla pittura, mi affascinavano le stratificazioni della materia. Da qui l'emersione dell'immagine da materie informali. Ma ancor prima il disegno era preminente, fondamentale. Nella mia ricerca due componenti si sono spesso combattute: la materia organica come materia viscerale, fatta di memorie, cancellazioni, tracce, sofferenze, quindi pittura mescolata a terre, carte, cere, materiali organici.. quindi una materia caotica, da una parte e dall'altra la razionalità della matematica e della misurazione dello spazio. Come in un dialogo/conflitto tra caos (materiale primigenio) e ordine, ho spesso cercato di controllare uno stato che tendeva a sovraccaricarsi.

Ancora oggi sento spesso questa impronta, soprattutto quando fotografo, ispezionando certi contesti, all'inizio di un progetto o nella fase di esplorazione e ideazione di nuovi lavori.

La geometria arriva dalla mia formazione di architetto/scenografo, con la progettazione. Poi le varie  esperienze nel teatro, nella fotografia, nel video hanno immesso una componente cinetica di rilevante importanza, scardinando tutti i paramenti all'interno del "quadro" o dell'oggetto di rappresentazione.

Ho sempre avuto una spiccata propensione alla visione prospettica e alle proporzioni classiche (forse per nostra formazione/origine storica?). Quindi i miei quadri erano fin dall'inizio spazi costruiti. Tutt'oggi, sento di avere una sensibilità strutturalista, ma non saprei dire il perchè di questa particolare attenzione. In me, come dicevo, c'è un continuo conflitto con l'ordinare la materia informe (o il tempo), quasi un'ossessione del misurare lo spazio stabilendo un ordine al suo interno.

La geometria mi affascina e mi affascinano certi concetti di matematica (Euclide) che riflettono alcune questioni fondamentali quasi esistenziali di vita, di spazio finito e spazio infinito.

 

Gabriele Landi: Esiste nel tuo lavoro un'idea di messa in scena ?

Paolo Cavinato: Sì, da intendersi come costruzione e organizzazione di elementi nello spazio, uno spazio che si dispone secondo criteri "scenici" di "figure" quali oggetti o elementi dislocati all'interno della nostra visione. Qui è sempre importante il punto di vista, la gerarchia degli elementi e il significato simbolico della loro posizione. D'altronde la nostra vita di tutti i giorni la organizziamo selezionando e disponendo le cose nel tempo e nello spazio.

Sono molto interessato alle dimensioni, alle relazioni tra bidimensionalità, tridimensionalità e quadrimensionalità aggiungendo il movimento (nei limiti umani, ma vi sono senz'altro molte altre dimensioni che non conosciamo).

Nel momento in cui inserisco il movimento nella composizione, inscrivo l'opera nella dimensione temporale, pensando alle sue implicazioni narrative e di messa in scena. Non sempre quest'ultime avvengono allo stesso modo. A seconda delle situazioni vi sono caratteristiche diverse. Nel momento in cui studio la posizione del punto di visione, l'orizzonte, la spazialità e rifletto come il fruitore può osservare l'opera, che sia a parete o un'installazione attraversabile, mi pongo delle domande sul tempo di fruizione e quindi in un certo senso sulla narrazione.

Alcune opere, realizzate negli ultimi 12 anni, come nei disegni tridimensionali delle Interior Projections (fatti realizzando "tessiture" con fili in fluorocarbonio), vi sono ricostruite vere e proprie rappresentazioni "sceniche" di luoghi immaginari in cui si presume sia o stia accadendo qualcosa. Come fotografie istantanee, le scene rappresentate appaiono come "stazioni" e luoghi d'attesa. In altre installazioni (CamerAptica, Annunciazione, Constellation) il pubblico può entrare ed è esso stesso elemento scatenante il meccanismo della trasformazione: un'immagine è ricomposta e ordinata se vista all'interno di uno spioncino, altrimenti si presenta come uno spazio frammentario e caotico.

In Soglia e Beyond, lo specchio riflette dapprima l'immagine del visitatore, poi all'improvviso, per un cambio di luce esso diviene trasparente lasciando inquadrare un vuoto corridoio totalmente inaspettato. Altro ancora accade con alcuni oggetti "algebrici" scultorei o in rilievo, come in Reflectionse Via, che devono essere scoperti guardandoli da più angolazioni riprendendo così l'idea e il concetto di base del cubismo: nella frantumazione  di uno squarcio di finito vi si può scorgere l'infinito.

 

Gabriele Landi: A quali artisti guardi con interesse nel tuo lavoro?

Paolo Cavinato: Qui ci vorrebbe una risposta enciclopedica! Mi è davvero difficile farti la lista dei nomi perchè cerco di guardare tutto, dall'arte del passato a quella contemporanea spaziando territori e nazionalità, discipline e linguaggi. Certamente il mio atteggiamento è cambiato negli anni e il mio sguardo si è focalizzato più su alcune questioni che su altre, così come ho avuto differenti amori per certi artisti o per alcune opere. A volte mi colpiscono lavori per significati o particolari dettagli. A volte m'interessano semplicemente i dettagli sottili.. Forse nelle ultime, più attuali ricerche contemporanee vi trovo una maggiore attenzione alle novità e originalità di certi materiali o di certi strumenti impiegati, per inseguire però un puro effetto visivo superfluo e compulsivo, un po' a discapito della vera ricerca di senso. Altre volte invece trovo delle commistioni molto interessanti tra componenti sonore e luminose/visive.

Spesso questo mio "amore" per certi manufatti si sposta dall'oggetto al contenitore e al contesto, quindi al luogo, che può essere una piazza o una strada (un muro addirittura!) di una città oppure un luogo dove si fa cultura, come un museo,  o semplicemente un Luogo! Trovo spesso ispirazione da certi paesaggi che ho visto e vissuto attraversandoli (come la particolare luce del tramonto autunnale nella Valle Rossa in Cappadoccia o il percorso che conduce al Lago dei nove colori in Alta Provenza) o da certi fatti importanti che arrivano all'improvviso stravolgendoti la vita.

Ma venendo in specifico all'arte, facendo alcuni esempi, ricordo la Porta di Ištar e la Porta di Mileto al Pergamon Museum di Berlino, oppure l'affascinante Sarcofago degli Sposi custodito nel Museo Etrusco di Roma, delicato, in terracotta, fragilissimo, incredibilmente arrivato a noi, quasi integro, per miracolo, fantasma di una promessa ormai sepolta nel tempo.

Due opere di piccole dimensioni, che ancora oggi mi affascinano per la raffinata realizzazione tecnica e per la moltitudine di significati simbolici sono senz'altro il Ritratto dei coniugi Arnolfini di Jan Van Eyck e la Flagellazione di Cristo di Piero della Francesca; quasi contemporanee e coetanee, veri trattati di filosofia e matematica.

Ho trovato molto interessante una mostra di Rudolf Stingel, vista a Palazzo Grassi, qualche anno fa, in cui l'artista altoatesino aveva rivestito gli ampi spazi espositivi di tappeti rossi afgani e su questi tappeti aveva installato delle piccolissime formelle argentee, dettagli dipinti di sculture lignee sacre.

Interessante poi come alcuni aspetti estetici (e spirituali) ritornano nella storia del'arte (che è poi storia dell'uomo) dai tempi passati a quelli più recenti. Penso ad esempio al quadrato inscritto nel cerchio, simboli di Terra e Cosmo, visibili nel cortile della Casa del Mantegna a Mantova, che sebbene progettata e costruita in pieno rinascimento ritorna in alcune installazioni luminose e spaziali dell'artista californiano James Turrel. Come se continuasse una primigenia e originaria spinta dell'uomo verso l'alto, verso qualcosa di incommensurabilmente più grande, un'attrazione verso qualcosa che sta al di fuori (e dentro) noi stessi.

Non posso tralasciare tutta l'opera fotografica di Guido Guidi, dove ogni scatto diviene meditazione, insegnamento, strutturazione del quadro, geometria, calcolo pitagorico, in cui nulla è lasciato al caso. Le opere astratte di grande potenza negli scatti/finestre/dettagli della quotidianità, ingrandimenti in bianco e nero di Keld Helmer Petersen. Tutta l'architettura rinascimentale progettata dal Brunelleschi e dall'Alberti. Le facciate delle Cattedrali di Rouen di Monet, bagnate dall'incessante pioggia di luce. Tutto Maurice Ravel. La ricerca della velocità nelle particelle colorate di Giacomo Balla. Il vuoto nella materia di Giacometti. L'ineluttabile attesa di Samuel Beckett. Le ombre segrete e domestiche di Magritte. La costruzione dello spazio filmico in La finestra sul cortile di Alfred Hitchcock. Il paesaggio atmosferico in Madre e figlio di Sokurov. La musica matematica di Terry Riley. Le installazioni esperienziali di Philippe Parreno. La sacralità nel teatro di Romeo Castellucci. La ricerca dell'assoluto in Kubrick, ecc., ecc., la fanciullezza ne Il Piccolo Principe.

 

Gabriele Landi: Nel tuo lavoro la tensione spirituale e il mistero hanno una loro importanza? 

Paolo Cavinato: Sono domande grosse. Già la vita stessa è un bel mistero! Ma il mistero è qualcosa che nasce dall'evocazione dell'altro, per me, forse, una pratica quotidiana.

Penso allora al significato dell'essere se stessi, chi o cosa sono io, perchè faccio questo..

Forse per necessità o per curiosità decidiamo di vivere nella ricerca e il bisogno di cercare una risposta ci spinge a compiere delle scelte particolari, a volte anche radicali nei confronti della vita. Che cosa significa avere una vocazione, sentirsi attratti da un Dio o da qualcosa che sta al di fuori (o dentro) a noi stessi? Aspirazione, ascetismo, donarsi o dedicarsi del tutto a questo Tutto. Una fede, sì. Ma non so cosa ne esce, che cosa produce.. l'opera? Il manufatto, come gesto di condivisione con l'altro, che non puoi controllare perchè non puoi sapere come reagirà l'altra persona, quali sentimenti, quali pensieri o emozioni proverà.

La dimenisone del mistero arriva nel momento in cui non entri del tutto nella stanza, che è poi un'altra dimensione sconosciuta, ma infilando un piede (o un'occhio..), è come se ne intravedessi uno spiraglio, un ritaglio, un lembo.

È proprio quello che sto provando a rappresentare con le ultime Stanze, o gli Spazi Vuoti, in questo periodo di strana e prolungata attesa.

Ma spesso nelle mie opere mi piace sottolineare quest'ambiguità di fondo (metafisica?), come di "gioco", tra rappresentazione e realtà, evidenziando il mistero che risiede nella realtà quotidiana (basti vedere: Phantasma, Reflections, Behind the Curtains, realizzati tra il 2009 e il 2012).

Che cos'è questa realtà che crediamo di tenere tra le mani ogni giorno. Abbiamo creato dei codici o delle strutture per tenerci ancorati alla superficie. Siamo tutti a rischio di follia.

L'arte media, è uno strumento per sbirciare questo mondo che sta al di sotto e che in parte, a volte, proviamo a tirarlo fuori a bocconcini..

Non si può chiarire  e spiegare tutto, anzi, c'è sempre un margine che sfugge. Una zona d'ombra, una zona sfuocata.

L'arte non è una scienza, ha a che fare con l'errore, l'inesattezza, con lo scarto, con l'ambiguo, con qualcosa che sfugge in continuazione.

Mi piace molto l'aspetto contemplativo e meditativo (Cosmo, Destino, Via, Fata Morgana, Into the room), la lentezza nell'esecuzione di alcuni lavori mi porta ad una dimensione di grande profondità. Ma la contemplazione continua anche dopo, quando il lavoro sembra finito ed è esposto, in realtà, mi rendo spesso conto che l'elaborazione continua anche lì, nell'osservazione

 

Gabriele Landi: Ti è mai successo di modificare un lavoro che credevi finito?

Paolo Cavinato: Raramente inizio un lavoro e lo finisco tutto d'un fiato. I tempi di realizzazione sono sempre molto diversi e variano da caso a caso. Personalmente lavoro sempre su vari progetti contemporaneamente ed è come se gli uni tendessero a rafforzare o determinare gli altri. 

La fase di ideazione, scrivendo sul quaderno delle particolari impressioni o riflessioni, è un periodo molto lungo di gestazione, in cui delle "immagini" o "impressioni" stanno lì per settimane, o mesi, o addirittura anni, a "maturare" e caricarsi di forza. Dopo vario tempo posso rivederle e in alcuni casi sento la necessità di passare alla loro progettazione e costruzione.

La fase di progettazione è infatti molto importante per chiarire e definire meglio questa  "immagine" prima soltanto sentita, accennata o abbozzata.

Mi capita anche di riprendere alcuni lavori dopo anni e modificarli, addirittura dopo averli esposti e visti insieme al pubblico.

Ma mi è successo in alcune occasioni di vivere quasi una visione in sogno e quindi di realizzarla immediatamente in grande fretta. È il caso di Protection, pensata e costruita durante la residenza allo Swatch Art Peace Hotel di Shanghai. L'idea, vista in sogno come disegno, si è concretizzata in studio come un'onda propagata nello spazio. Fatta in legno da principio, e lasciata in Cina, ne ho realizzata poi una versione bianca in alluminio verniciato a polvere, cambiando le proporzioni e apportando alcune modifiche al progetto. Quindi esposta a Basilea, a Miami, poi a Palazzo Ducale di Mantova, si trova ora in una collezione a Bruxelles. È strano come certe idee concepite da una parte del mondo finiscano poi per stabilirsi in tutt'altro luogo.

Altra vicenda è invece quella di Drops (la ricostruzione di una stanza di carta con un lettino che viene "bersagliato" da goccioline d'acqua fino a dissolversi..). L'opera, iniziata nel 2000 ha avuto varie versioni, rimanendo ancora del tutto indeterminata e indefinita, opera aperta e mai realmente conclusa.

Oppure le recenti Iridescenze, serie di opere come episodi, sono riflessioni sulla fenomenologia del campo o elaborazioni e riflessioni della spazialità del supporto pittorico.

Edvard Munch (credo fosse lui), pare appendesse i quadri ai rami degli alberi perchè, diceva: le opere devono maturare come frutti.

 

Gabriele Landi: Ogni lavoro ha dunque una sua voce ed un suo tempo che noi artisti dobbiamo in qualche modo assecondare o forse sarebbe meglio dire ac-cogliere con prontezza. Per calarti in questo spirito la pratica quotidiana dello studio ha una sua importanza, esiste un'idea di ritualità nel tuo lavoro?

Paolo Cavinato: La necessità di pensiero e il piacere nella ricerca. Il lavoro è quotidiano e lo affronto con grande disciplina, praticamente sempre. Ma il termine ritualemi lascia perplesso in quanto lo considero e lo avvicino più a pratiche sacre o religiose.

In un periodo così difficile come quello che stiamo vivendo credo sia un privilegio avere uno spazio come uno studio, come luogo di pensiero, dove ritirarsi, riflettere e lavorare, un vero pensatoio.

Ritrovare nel proprio archivio tutta la vita passata, vedere quello che si è stati e quello che si è fatto e poter ragionare sul come e cosa fare per il futuro. In un periodo così statico, incerto e precario, è davvero molto importante avere un luogo così saldo.

A volte ho l'impressione d'esser come una soglia tra il passato e il futuro. Io sono qui, ora, adesso, la soglia tra ciò che sono stato e ciò che sarò.

E il lavoro come pratica quotidiana è già proiezione nel futuro.